Patrizia Sannino

insegnante qualificata di Yoga dal 1998

"nel gesto dell'ascolto dimentichiamo l'idea di noi stessi per entrare nella quiete e nel silenzio, in quel luogo dove tutto ha inizio...perchè è assai più profonda l'esperienza dell' "ascoltare" che quella del capire"

Mi presento:

Diplomata attraverso la formazione quadriennale della S.F.I.D.Y. (MI) nel 2003
Frequentazione costante di corsi e ritiri tenuti da insegnanti internazionali quali: Boris Tatzky e Alberta Biressi, Willy Van Lysebeth, Patrick Torre ed altri, finché non incontrò Eric Baret.
Post Formazione biennale “Lo Yoga del Silenzio” secondo la tradizione dello Yoga Tantrico del Kashmir, con l’insegnamento diretto di Eric Baret e le altre docenti: Dominique Decavel, Gioia Lussana, Stefania Redini e Marie Claire Reigner.
Socia YANI Yoga Associazione Nazionale Insegnanti, attua le attività d’insegnamento in ottemperanza alle direttive del MISE, osservando le norme UNI per l’insegnamento dello Yoga.

Per conoscermi:

Tanto tempo fa, terminato il mio primo incontro con la pratica yoga condotta da Eric Baret mi resi conto che mi sentivo in una sorta di sospensione stupita e meravigliata e fu da questo “stupore vibrante” che dal profondo di me si espresse il presentimento di “essere finalmente a casa”.
Oggi, dopo tanti anni di frequentazione, mi sento di affermare senza ombra di dubbio che la conduzione di Eric Baret, tanto quanto il suo modo di scrivere, esprimono sempre l’intensa e sommessa vibrazione dell’Amore vero che tutto permea.
E condivido pienamente a questo riguardo, il pensiero tanto ben espresso da Stefania Redini:
“E’ da questo che ci sentiamo sfiorati, in quei momenti sospesi. È questo che pacifica la mente che sempre tutto ricopre e ci lascia, per qualche istante, grati, in silenzio.”

Questa breve presentazione racchiude in sintesi cosa è per me lo Yoga nell’ambito della tradizione Tantrica così detta “non duale del Kashmir”, esperienza che ho poi tradotto nella mia trasmissione come “Yoga dell’ascolto”.
Per fare questo ho preso spunto da un passaggio tratto da uno dei libri di Eric Baret redatto in sinergia con Marie-Claire Reigner.
Utilizzo queste parole semplicemente perché racchiudono ciò che per me è stato e che rappresenta tuttora lo Yoga, nonché il modo con cui amo tradurlo e riportarlo nell’insegnamento.
Per tutto questo dedico a Eric Baret la mia più profonda riconoscenza e gratitudine.

Tutto parte da un quesito: Vi è qualcosa da insegnare quando si è professori di yoga? Lo yoga si insegna?
Ai nostri giorni, è concepibile che una persona che consacri una grande parte del suo tempo a insegnare abbia bisogno di vivere di questo, anche se nell’India tradizionale non funziona in questo modo. La parola “insegnante” è comunque più funzionale del termine “professore”.
In rapporto all’approccio kashmiro, non vi è nulla da insegnare in quanto tale. L’essenziale è mettere l’accento sull’ascolto, nel quale si rivela ciò che è indispensabile.
Tutti gli elementi tecnici sono solamente per favorire questo ascolto, che si presenta sotto forma di silenzio, di vibrazione, di espansione. Ogni persona traspone alla sua maniera. Per arrivare a questa presa di coscienza dell’ascolto, si utilizza il corpus degli asana, dei pranayama, dell’esplorazione tattile. Si può dire che, su un certo piano, che certe tecnicità sono insegnate per permettere di ritrovarsi. L’insegnamento è sempre sul filo del rasoio, perché non si deve esagerare l’importanza di ciò che viene trasmesso a livello tecnico. L’essenziale è l’ascolto. D’altro canto, per colui che viene, il fatto stesso che venga, vuol dire che non ha ancora attualizzato questo ascolto. Può allora essere giusto insegnargli una tecnicità che gli permetterà di aprirsi all’ascolto.
Non è un insegnamento, è una condivisione. L’insegnamento si fa per mimetismo. Quando l’insegnante si siede e si dona all’ascolto, è questo che tocca l’ambiente. Secondo il momento, utilizzerà certi elementi tecnici per rinforzare il presentimento d’ascolto. È più una trasmissione silenziosa per mimetismo, che una trasmissione di qualcosa da imparare. Anche a livello tecnico, il nostro modo di lavorare non è di trasmettere un sapere lineare di tecniche. Si tratta piuttosto di portare i praticanti ad ascoltare la loro sensibilità e a scoprire essi stessi i movimenti che stimolano l’ascolto.
Degli elementi vengono trasmessi, ma saranno sempre modificati, sempre rimessi in discussione, in modo che la persona non vi si fissi. Non vi è un sapere in questa scuola, non può esservi un sapere globale o completo, perché il sapere è costantemente rinnovato. Si cambiano costantemente le modalità di ciò che si insegna, in modo che l’allievo non si fissi su di uno stile. Non vi è uno stile di yoga kashmiro.
Nel momento in cui una cosa è presentata, il contrario può essere altrettanto vero. Questo spiega la difficoltà per certe persone di seguire questo approccio, dato che vogliono imparare un sapere e la tecnica dello yoga kashmiro. Saranno sempre deluse perché le si porta assai presto al fatto che non vi è nulla da imparare, nulla di cui appropriarsi; si tratta di sviluppare una sensibilità e un ascolto, che in seguito si trasporranno nel lavoro. Non vi è un corpus di questo yoga. Non si può dire, come in certe scuole di yoga che desiderano trasmettere un sapere specifico, che secondo gli anni si approccerà il tale programma. Nello yoga del Kashmir quel che si desidera trasmettere è un non-sapere, un ascolto. È un sapere elastico. Non vi è una maniera di lavorare, vi è una maniera di ascoltare che porta a un lavoro generalmente molto lento ma che può essere rapido, generalmente variato ma statico, generalmente ripetitivo ma creativo.
Anche se può sembrarlo dall’esterno, non vi è una maniera precisa di lavorare e di insegnare, non vi è un insegnamento. Non potrà mai esservi un libro che spieghi cos’è lo yoga del Kasmir. È un’arte con più sfaccettature, che deve trasporsi in ogni corso, in ogni momento, con ogni insegnante. La tradizione è la trasposizione costante, si innova sempre, non per il bisogno di innovare, ma per evitare che la persona che ricever l’insegnamento si dica “è così”, perché non è così. Questo esclude tutte le persone che vogliono ottenere un diploma, un sapere. È un lavoro creativo, artistico, e nell’arte non vi è finalità, né appropriazione. È uno studio, un’esplorazione, una scoperta, di istante in istante. Occorre avere questo spirito creativo, non arrivista, per entrare in questa risonanza. Abhinavagupta dice: “la Coscienza è essa stessa creatività, intuizione, pratibha.”
Eric Baret 250 domande sullo yoga – Marie-Claire Reigner – Om edizioni 2020

Patrizia Sannino
333 2508150
samapatti@yogadellascolto.org

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